Proprietà intellettuale contro società delle condivisione. Sono due modelli di futuro, soprattutto dei diritti inalienabili dei cittadini europei che spesso confliggono. Ma almeno in Europa si è fatta un po’ di chiarezza. Con una sentenza, storica per molti esperti, la Corte Europea di Giustizia ha, infatti, deliberato che un giudice nazionale non può in nessun caso imporre filtri preventivi al fornitore del servizio. Tradotto significa che i provider che permettono agli utenti di andare in Rete non possono impedire loro di usare programmi per la condivisione dei file. La sentenza, intentata in Belgio, dà così torto alla la Siae belga (la Sabam) nella causa contro il provider Scarlet Extended (ex-Tiscali). Un po’ come la guerra preventiva di Bush, un po’ come il film (e il libro) Minority Report, non si può condannare prima che il reato sia commesso, come implicitamente si fa imponendo un filtraggio generalizzato a tutti gli utenti. Scaricare materiale audiovisivo dal web non è un reato di alcun tipo, ampia è la disponibilità di materiale liberamente scaricabile per espressa autorizzazione dell’autore. Quindi il campo deve essere limitato al solo materiale protetto da copyright restrittivi. Il controllo sarebbe invece generalizzato e non conforme alle leggi dell’Ue, perché imporrebbe aiprovider uno sforzo tecnologico ed economico eccessivo, incompatibile con il loro ruolo. Inoltre, l’eventuale filtraggio scandaglierebbe il traffico ben più in profondità del “downloading”, andando a toccare anche i dati sensibili e la privacy degli utenti.
I giudici hanno, quindi, fatto proprio il parere dell’avvocato generale della Corte di Giustizia Ue, Pedro Cruz Villalón, ma hanno però confermato che i titolari dei diritti d’autore, dopo aver accertato gli illeciti, possono chiedere che sia emanata un’ordinanza d’inibizione, sempre però all’interno delle norme Ue. «La sentenza della Corte di giustizia mette - spero - la parola fine a una barbarie giuridica: quella di spacciare la censura come forma di protezione dei diritti economici degli editori (e non certo di quelli morali d’autore)», ha detto Andrea Monti, presidente dell'Alcei, l’associazione per la libertà delle comunicazioni elettroniche interattive, e componente dell’Advisory board di Privacy International. «Il filtraggio parte dal presupposto che l’utente è colpevole fino a prova contraria. Il che è inaccettabile. Speriamo che questa sentenza stronchi per sempre il tentativo dell’Agcom italiana di emanare la famigerata delibera sulla tutela del copyright che vuole imporre il modello francese (un ente decide se tagliare il collegamento alla rete degli utenti) e che - in modo illegittimo - vuole sottrarre alla magistratura il compito di decidere cosa è illegale e cosa no».
«Sentenza decisiva», ha detto il senatore Pd Vincenzo Vita, vicepresidente della commissione Cultura del Senato. «Ora anche i giudici italiani sanno che non si possono imporre ai provider di internet filtri preventivi. La decisione delimita così le responsabilità dei provider - ha detto Paolo Gentiloni, responsabile Forum ICT del Partito Democratico -, in continuità coi principi della direttiva Ue sull'e-commerce, escludendo che possano trasformarsi in vigilantes del copyright e stabilendo che quella dei filtri è un'arma impropria da non utilizzare. Anche le norme e le sentenze italiane - conclude Gentiloni - dovranno adeguarsi a questa importante decisione».
I giudici hanno, quindi, fatto proprio il parere dell’avvocato generale della Corte di Giustizia Ue, Pedro Cruz Villalón, ma hanno però confermato che i titolari dei diritti d’autore, dopo aver accertato gli illeciti, possono chiedere che sia emanata un’ordinanza d’inibizione, sempre però all’interno delle norme Ue. «La sentenza della Corte di giustizia mette - spero - la parola fine a una barbarie giuridica: quella di spacciare la censura come forma di protezione dei diritti economici degli editori (e non certo di quelli morali d’autore)», ha detto Andrea Monti, presidente dell'Alcei, l’associazione per la libertà delle comunicazioni elettroniche interattive, e componente dell’Advisory board di Privacy International. «Il filtraggio parte dal presupposto che l’utente è colpevole fino a prova contraria. Il che è inaccettabile. Speriamo che questa sentenza stronchi per sempre il tentativo dell’Agcom italiana di emanare la famigerata delibera sulla tutela del copyright che vuole imporre il modello francese (un ente decide se tagliare il collegamento alla rete degli utenti) e che - in modo illegittimo - vuole sottrarre alla magistratura il compito di decidere cosa è illegale e cosa no».
«Sentenza decisiva», ha detto il senatore Pd Vincenzo Vita, vicepresidente della commissione Cultura del Senato. «Ora anche i giudici italiani sanno che non si possono imporre ai provider di internet filtri preventivi. La decisione delimita così le responsabilità dei provider - ha detto Paolo Gentiloni, responsabile Forum ICT del Partito Democratico -, in continuità coi principi della direttiva Ue sull'e-commerce, escludendo che possano trasformarsi in vigilantes del copyright e stabilendo che quella dei filtri è un'arma impropria da non utilizzare. Anche le norme e le sentenze italiane - conclude Gentiloni - dovranno adeguarsi a questa importante decisione».
Fonte: Unità
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