lunedì 16 gennaio 2012
Un pasticciaccio brutto per Google in Kenya
Decisamente, non è un buon periodo per Google. Se sul piano finanziario i risultati continuano ad essere strabilianti, la Grande G sembra incappare in un infortunio dietro l'altro a livello di immagine. Prima è stata accusata di aggiustare i risultati del proprio motore di ricerca in maniera tale da favorire il suo servizio Google Flights; poi, a finire nel mirino delle associazioni per la difesa delle libertà digitali come Epic (l'Electronic Privacy Information Center) e di rivali come Twitter, è stata l'integrazione nelle ricerche di voci provenienti da Google Plus, con conseguentedenuncia di Mountain View alla Federal Trade Commission per concorrenza sleale e violazione della privacy degli utenti.
Come se tutto ciò non bastasse, in questi giorni è scoppiata un'altra bomba mediatica, questa volta proveniente dall'Africa. Una startup kenyota, Mocality, impegnata nel business del directory listing, l'indicizzazione online delle imprese operanti sul territorio, ha accusato Google di aver adoperato il suo database per contattare le aziende presenti al fine di promuovere un suo servizio, Getting Kenyan Business Online (Gkbo), in parziale concorrenza con quello di Mocality. Ma questo sarebbe il meno.
Il fatto grave è che, secondo quanto ricostruito dall'amministratore delegato della società africana, Stefan Magdalinski, il team di Google avrebbe anche assicurato ai clienti di stare lavorando assieme a e per conto di Mocality; in un'occasione uno degli operatori avrebbe addirittura asserito che la società africana avrebbe fatto parte del pacchetto di controllate della Grande G. C'è di peggio. In un'altra telefonata si accenna al fatto che Mocality pretenderebbe dei soldi per inserire le aziende nel proprio indirizzario, cosa completamente falsa.
Ma come fa Magdalinski ad avere le prove di affermazioni così gravi? Semplice, perché, una volta accortosi, assieme a dei colleghi, di una insolita serie di connessioni provenienti dallo stesso indirizzo Ip e volte a scandagliare il database di imprese, e aver ricevuto in un ufficio parecchie telefonate confuse di clienti che chiedevano aiuto per la gestione del loro sito Web (servizio offerto dal programa Gkbo, ma non da Mocality), ha sentito puzza di bruciato e organizzato una piccola trappola. Parte delle connessioni esterne sospette è stata reindirizzata a pagina contenenti un numero di telefono facente capo non all'impresa indicizzata, ma alla stessa Mocality e al personale è stato detto di rispondere a qualsiasi chiamata in arrivo a tale numero senza rivelare la propria vera identità.
Ben presto sono arrivate delle strane telefonate, prima da parte di persone che si qualificavano come impiegati di Google Kenya e poi di Google India, dove sono situati molti call center della compagnia americana. Le chiamate sono state tutte registrate. Tutto questo avveniva prima di Natale. A Mocality hanno deciso di lasciar decantare la cosa nel corso delle feste, salvo poi scoprire, a gennaio, che le telefonate continuavano a susseguirsi. A questo punto è scattata la scelta di rendere pubblica tutta la faccenda. Magdalinski ha pure messo in rete alcuni degli mp3 “incriminati”, assieme a trascrizioni delle conversazioni.
La reazione di Google è stata piuttosto rapida. Con un post su Google Plus, Nelson Mattos, dirigente di Google per Europa, Medio Oriente e Africa, si è detto “mortificato di apprendere che un team di persone al lavoro su un progetto di Google abbia usato impropriamente i dati di Mocality e rappresentanto in maniera fuorviante il nostro rapporto con Mocality per incoraggiare i clienti a creare nuovi siti Web”. Mattos ha poi spiegato come Google si sia già scusato senza riserve con Mocality e stia investigando per capire come sia potuta accadere una cosa del genere e punire i responsabili. Non sarà certamente un incidente del genere a far crollare Google, e l'unica a rimetterci da un'eventuale azione legale e da una lotta col colosso americano sarebbe la stessa Mocality, che adopera il motore di ricerca per rendere reperibili e pubblicizzare i suoi servizi. È a causa di casi come questi però, che la magia che aveva accompagnato i primi anni dell'avventura della società forse più innovativa e brillante degli ultimi decenni, il posto dove tutti vorrebbero lavorare, il gigante buono che si auto limitava per restare fedele al proprio motto “do no evil”, non fare del male, sembra stare sbiadendo a poco a poco. Peccato.
via
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