martedì 20 marzo 2012

Il tuo smartphone Android si scarica subito? Colpa degli Ad pubblicitari


Credits: osde8info @ flickr
Credits: osde8info @ flickr
Se in tasca hai un modello di smartphone Android fra i più recenti, probabilmente ti sarà capitato: lo usi poco, controlli la posta un paio di volte durante la giornata, utilizzi poche selezionate app, eppure bastano poche ore perché l’icona della batteria viri verso un fastidioso giallo. Insomma, eri convinto di essere un utilizzatore parco e controllato, e ti ritrovi a bruciarti tutta la batteria prima ancora del tramonto. Perché?
Secondo uno studio condotto alla Purdue University, la colpa potrebbe essere degli annunci pubblicitari che appaiono nelle app.
Nello studio, Abhinav Pathak e i colleghi della Purdue University e di Microsoft Research hanno testato alcune fra le app più utilizzate dai possessori di smartphone Android per monitorare nel dettaglio quali funzionalità consumassero più carica delle altre. Nella maggior parte dei casi, è risultato che la carica necessaria per l’app in sé era quasi due volte inferiore a quella sfruttata per l’inserzione di annunci pubblicitari e per il tracking dell’utente.
Prendiamo Angry Birds, ad esempio: secondo i dati raccolti dai ricercatori, solo il 30% dell’energia consumata dall’app in un dato intervallo di tempo servirebbe a far funzionare l’applicazione stessa,  mentre il restante 70% verrebbe impiegato per caricare dati utente, dati di geolocalizzazione e per esporre ad pubblicitari. Lo stesso è stato riscontrato anche nell’applicazione FreeChess, mentre l’app ufficiale del New York Times ha dimostrato di utilizzare il 15% dell’energia consumata per il tracciamento dell’utente.
Ma non è tutto. Oltre a consumare un sacco di batteria, gli ad pubblicitari (o almeno il sistema attraverso cui vengono piazzati) a quanto parepongono seri rischi per lo smartphone. È quanto emerge da un’altra ricerca, condotta da un team di scienziati della North Carolina State University. Dopo aver selezionato 100.000 app da Google Play, la squadra di ricercatori ha scoperto che 48.000 fra le ad library utilizzate da queste app ottengono l’ubicazione GPS dell’utente, 18.000 tengono traccia dell’identità del telefono (ovvero il suo codice IMEI), mentre altre 4.000 consentono agli advertiser di tracciare l’utente attraverso il GPS. Inoltre 297 app consentivano al dispositivo di eseguire un codice scaricato da internet, aprendo di fatto una vulnerabile breccia a malaware e software pericolosi.
Se a questi risvolti si aggiungono quelli emersi all’epoca dell’address book gate che aveva coinvolto Apple, diventa chiaro come l’attuale modello di advertising mobile crei rischi difficilmente ignorabili per gli utenti smartphone: “Incorporare ad library nelle app mobile allo scopo di monetizzare il servizio pone seri rischi in termini di privacy e sicurezza” spiga Xuxian Jiang, che è a capo del team di ricerca della NCSU “ Queste librerie hanno sostanzialmente lo stesso set di autorizzazioni delle app che le integrano. Di conseguenza, alcune ad library potrebbero abusare di queste app per scopi non richiesti.”
Le due ricerche citate in questo pezzo rivelano due segni di cedimento strutturale nell’attuale modello di advertising mobile che richiedono interventi rapidi e precisi. Se da un lato la prima ricerca ha come obiettivo quello di sviluppare un software che consenta agli sviluppatori e agli advertiser di ottimizzare il dispendio energetico dei propri servizi, dall’altro la seconda ricerca rende palese come sia necessario intervenire per separare la gestione degli annunci pubblicitari mobile da quella delle app che li ospitano.

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